La Corte Europea di Strasburgo in data 24/01/2022 [1] ha emesso sentenza di condanna dello Stato italiano sulla base di un ricorso presentato da un cittadino italiano che aveva chiesto il risarcimento del danno a lui provocato per violazione dell’art. 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
La Convenzione Europea (CEDU), ratificata da tutti i paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa (tra cui anche l’Italia), è un trattato internazionale che stabilisce i diritti fondamentali dell’uomo che devono essere salvaguardati in tutti i paesi firmatari della Convenzione stessa. Essa inoltre istituisce la Corte Europea con sede a Strasburgo a cui tutti i privati possono rivolgersi per tutelare un loro diritto fondamentale violato da uno degli stati aderenti.
Il ricorso può essere presentato davanti alla Corte, entro sei mesi dalle sentenze definitive nazionali.
La Corte pertanto esamina gli atti processuali nazionali e lo svolgimento del processo analizzando esclusivamente se vi siano state delle violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo in contrasto con la Convenzione stessa. Il ricorso nel caso Sy contro Italia è stato presentato da un cittadino italiano affetto da disturbo bipolare aggravato dall’abuso di sostanze, che aveva commesso plurimi reati di molestie nei confronti dell’ex-compagno e resistenza a pubblico ufficiale con aggressione e percosse. La vicenda processuale che la Corte di Strasburgo ha esaminato può essere così sintetizzata: il Tribunale italiano, dopo aver disposto la perizia psichiatrica sul ricorrente che ne conferma la malattia, lo condanna alla detenzione in REMS ( Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) per un anno, da eseguirsi quanto prima. La REMS, però, non viene trovata; di conseguenza il soggetto viene rilasciato per mancanza di posti. A seguito di richiesta avanzata dal Pubblico Ministero al Tribunale di sorveglianza, viene riesaminata la pericolosità sociale del ricorrente, che viene confermata dal SERD (Servizio per le dipendenze). Il Tribunale pertanto sostituisce la detenzione in REMS con la misura della libertà vigilata da scontare in una comunità terapeutica. Il ricorrente però, una volta entrato, si allontana dalla comunità immediatamente e commette altri reati. Egli quindi affronta un altro processo penale in cui il Tribunale convalida l’arresto per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale e dispone la custodia cautelare in carcere. Il ricorrente tenta il suicidio in carcere e lo psichiatra del carcere redige perizia medica d’incompatibilità del malato con la struttura carceraria. Il Tribunale di sorveglianza pertanto dispone l’immediato collocamento del reo nel servizio carcerario per pazienti psichiatrici. Il ricorrente però chiede al Tribunale di sorveglianza una rivalutazione della sua pericolosità sociale e la possibilità di entrare in comunità. La rivalutazione della pericolosità sociale viene effettuata dal dipartimento di salute mentale, il quale decide che il ricorrente, avendo avuto un miglioramento della sua condizione mentale, poteva essere soddisfatto e quindi collocato in una comunità di tipo residenziale al posto della REMS. La Corte Europea, con provvedimento cautelare, chiede al Governo italiano di trasferire il ricorrente presso una REMS o altra struttura comunitaria/terapeutica di tipo residenziale. Il Governo italiano informa però la Corte che il trasferimento è impossibile per mancanza di posti nelle REMS. In risposta alle osservazioni del Governo il ricorrente afferma che la Comunità S. Maria del Centro italiano di solidarietà, è disposto ad accoglierlo. il Tribunale di sorveglianza revoca la carcerazione e dispone la misura di sicurezza della libertà vigilata da scontare presso la suddetta comunità, ove il ricorrente doveva seguire il percorso terapeutico individualizzato.
Il giorno dopo l’ingresso nella comunità, il ricorrente scappa e si rende irreperibile. Interviene quindi il pubblico ministero che dispone l’arresto e la custodia in REMS che viene finalmente trovata.
Perché il cittadino italiano ha voluto ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo?
Perché egli ha ritenuto che nella sua vicenda processuale ci sia stata la violazione dell’art. 5 della Convenzione, il quale recita che : “Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge: […..] (e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo”.
La Corte pertanto ha dovuto analizzare se il ricorrente, affetto da malattia psichiatrica ( la Convenzione usa un termine desueto “alienato” che ormai oggi è sostituibile con malattia mentale e/o psichiatrica) abbia subito una detenzione regolare. L’organo giudicante ha statuito negativamente, perché l’intervallo intercorso dal suo provvedimento cautelare con la richiesta di collocamento in REMS e l’effettivo spostamento è stato eccessivamente lungo. Periodo che il malato è rimasto in carcere.
La Corte di Strasburgo ha pertanto giudicato irregolare la detenzione in carcere del ricorrente, e di conseguenza ha ritenuto che l’Italia abbia commesso la violazione di un diritto umano fondamentale.
Un reo malato di mente, statuisce la Corte Europea, non doveva rimanere in carcere ma doveva essere collocato in una struttura ove la sua patologia potesse essere curata, perché la carcerazione rende più afflittiva la sua condizione rispetto ad un reo non malato di mente. A nulla pertanto sono valse le giustificazioni del Governo italiano relativamente alla mancanza di posti in REMS, poiché uno Stato non può addurre motivazioni organizzative per giustificare un trattamento disumano non in linea con i principi della Convenzione dei diritti dell’uomo.
La sentenza ha avuto una notevole risonanza in Italia, in quanto è stata emessa proprio quando anche la nostra Corte Costituzionale [2] stava decidendo in materia di REMS, ritenendole di fatto incostituzionali in quanto non garantiscono l’incolumità delle persone terze di fronte ai comportamenti del malato del mente, e chiedendo
l’intervento urgente del legislatore per porre rimedio a tale situazione. Di fatto l’Italia deve riformare le REMS, in quanto incompatibili con i nostri principi costituzionali, e nello stesso tempo non può trattenere le persone malate di mente in carcere perché violerebbe i principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Quindi dove andrebbero collocate le persone malate di mente che commettono reati? Attualmente non hanno un luogo e restano a carico delle famiglie, o abbandonati a sé stessi.
Anche le famiglie di persone affette da ADHD vivono questa situazione, perché chi ha questo disturbo associato anche ad altri disturbi quali la bipolarità grave, la personalità borderline, la condotta antisociale, in alcuni casi commette reati. Ma il problema in questi casi, a mio parere, è di contemperare l’esigenza di giustizia a quella sanitaria. Esiste oggi in Italia una struttura che sia sanitaria ed anche contenitiva? Purtroppo no, perché le REMS sono strutture solo sanitarie gestite dai Servizi sanitari regionali, e il carcere è una struttura solo detentiva gestita dal ministero della Giustizia (ci sono reparti psichiatrici all’interno del carcere, ma sono previsti per i rei che manifestano problemi psichiatrici dopo l’entrata in carcere e non prima). I tentativi fatti dalla magistratura, dalle forze dell’ordine e dai servizi sociali per superare questo impasse mediante accordi di collaborazione e protocolli applicativi non hanno portato a molto.
Le ragioni dello stallo vanno individuate, a mio parere, nel cambiamento dell’approccio terapeutico-sanitario al malato di mente la cui cura deve essere extra muraria, cioè non più all’interno di una struttura contenitiva-ghettizzante, bensì affidata ai vari dipartimenti per la salute mentale del territorio ed il malato deve essere consenziente alla cura. Ad oggi le strutture sanitarie, che possono gestire i malati di mente non consenzienti alla cura, sono unicamente emergenziali, poiché per un tempo breve possono trattenere il malato in stato di scompenso psicotico ( attraverso un TSO, trattamento sanitario obbligatorio, o ricoverando il malato presso una struttura ospedaliera psichiatrica di diagnosi e cura: gli SPDC). Il periodo massimo del ricovero è un mese, al termine del quale il malato viene rimesso ai servizi territoriali con un piano terapeutico individuale (PTI), che potrà essere attuato solo con il suo consenso. Il malato di mente anche quando commette un reato di grave pericolosità sociale deve ugualmente esprimere il consenso alla cura, e nessuna REMS, in quanto come riportato in precedenza, è gestita solo dalla sanità locale, può trattenere il malato contro la sua volontà, perché oltre che contrario alla legge, ha una organizzazione tale per cui non ci sono i mezzi per contenere tali soggetti. In base ad un decreto ministeriale [3], nelle REMS deve essere presente solo personale sanitario (il direttore è uno psichiatra), e non è stata prescritta la presenza delle forze di polizia penitenziaria. Il decreto prevede inoltre che i posti in ogni REMS non siano più di 20, così da garantire la degenza ad un nucleo piccolo di malati, perché, da un lato non ci siano più strutture sovraffollate come nei superati Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), dall’altro sia garantito il rapporto di fiducia tra medico e paziente, volto ad ottenere il consenso alla cura. Questo però comporta che non sia stato risolto il problema dei malati non consenzienti che commettono reati, perché le REMS, che sono anche una misura di sicurezza, dovrebbero comunque adempiere ad una funzione custodiale per garantire l’incolumità pubblica e quindi trattenere i malati-rei non consenzienti alla cura. Le considerazioni appena fatte hanno sempre suscitato le critiche aspre dei sostenitori del superamento degli OPG, poiché il grave problema che si verificava in passato era che le persone che vi entravano, rischiavano di rimanerci a vita ( i c.d “ergastoli bianchi”). Questo rischio però sembra essere superato dal fatto che la legge istitutiva delle REMS [4] ha previsto che : “Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima”. L’assurdo in cui ci troviamo oggi è che il paziente psichiatrico che commette reati anche contro la persona, essendo prosciolto per infermità di mente, non trovando posto in REMS o non potendo neanche essere trattenuto nelle comunità di ricovero e cura, molte volte torna in famiglia oppure in carcere dove non dovrebbe stare.
Questa è la situazione che vivono famiglie che hanno figli e parenti in queste condizioni, come AIFA Onlus ( Associazione italiana famiglie ADHD). Ho assistito, come legale, a situazioni in cui le famiglie che si sono rivolte ai servizi sociali, ai dipartimenti di salute mentale, ai servizi per le dipendenze , non hanno ottenuto nulla di più che sentire che era il paziente che doveva andare presso di loro per farsi curare o assistere, quando il paziente non intendeva assolutamente collaborare, in quanto sostanzialmente incapace di rendersi conto della sua situazione mentale e di dare il consenso come la legge richiede. Purtroppo questa situazione l’ho potuta riscontrare anche in ragazzi adolescenti o giovani adulti, i quali hanno tutto il diritto di essere curati per avere una vita normale.
Anche la vicenda che è stata portata avanti alla CEDU è emblematica, perché il ricorrente, affetto da malattia psichiatrica e da abuso di sostanze, ha tenuto un comportamento tipico della sua situazione patologica. Due sono i passaggi significativi della vicenda, che meritano di essere richiamati. Il primo, quando non essendo stato trovato il posto nella REMS gli viene concessa la libertà vigilata da eseguire presso una comunità terapeutica. Il ricorrente, in un primo momento pur entrando in comunità, non vuole rimanervi, ed esce, in assenza di un obbligo di trattenerlo senza il suo consenso, e una volta fuori commette nuovi reati. Il secondo, quando ottiene lo spostamento dal carcere, a seguito di perizia psichiatrica sulla sua incompatibilità con il regime carcerario, nell’altra comunità terapeutica che lui stesso aveva indicato; il giorno dopo l’ingresso, scappa e si rende irreperibile. Ora come si fa a pretendere il consenso da un soggetto che non è in grado di darlo, perché non si rende conto delle proprie azioni? Ormai in Italia bisogna affrontare il tema della malattia mentale in pazienti non consenzienti che vengono abbandonati a loro stessi, così causando un’altra violazione costituzionale al principio di uguaglianza tra chi riesce a curarsi e chi non riesce a farlo. Quale solidarietà politica, sociale ed economica hanno queste persone? Oggi però siamo ad una svolta perché ormai la situazione è ingestibile, e il legislatore deve al più presto e con la maggiore urgenza intervenire.
Avv. Antonella Boschi
[1] Sentenza Corte Europea dei diritti dell’uomo 24/01/22 (caso Sy contro Italia)
[2] Corte Costituzionale 27/01/2022 n. 22
[3] DM 01/10/2012 n. 64680 in Gazz.Uff. 19/11/2012 n. 270
[4] Art 1 comma 1 quater D.L. n. 52/2014 conv. con mod. da L.17/02/2012 n.9